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Così la sharing economy cerca una strada italiana per i ricavi

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Così la sharing economy cerca una strada italiana per i ricavi

Mercati online per la filiera corta, social network del calcio, piattaforme per ricerca-offerta di impieghi. Dalla vendita di alimentari di Cortilia alle partite di Fubles, dalle cene in condivisione di Gnammo alla ricerca-offerta di lavoretti di Tabbid. La sharing economy italiana riproduce, su scala nazionale, i modelli che hanno spianato la strada ad app con milioni di utenti e valutazioni più adatte a player globali che all'etichetta – ormai riduttiva – di “startup”. Senza scomodare Airbnb e BlaBlaCar, basta dare un occhio ai dati su scala globale: VbProfiles stima 15 miliardi di dollari in finanziamenti, 17 imprese con valore superiore al miliardo e 60mila dipendenti. E in Italia? I numeri si fanno più sottili, ma le startup che funzionano - e generano ricavi - ci sono. Come ci spiega Alessandro Notarbartolo, fondatore di Tabbid, «c'è chi parla di un impatto pari ad appena l'1% del Pil, una quota ancora inesistente. Il modello della sharing economy è comunque quello di generare ricavi, lasciare il segno. Cambia il modello, non il fine: fare fatturato e stare in piedi come azienda».

Quante sono (e cosa fanno) le piattaforme dello sharing
Se si guarda alla quantità di imprese, il fenomeno sembra in ascesa. L'ultima edizione di «Sharing Economy. La mappatura delle piattaforme del 2015», a cura di Collaboriamo con il supporto di Phd Italia, ha registrato un balzo da 97 a 118 iniziative dal 2014 al 2015 (+22%). I settori più gettonati ricalcano le esperienze dei big del settore, con il dominio di turismo (15%) trasporti (18,6%) e scambio di beni (26%), categoria trasversale che va dall'abbigliamento ai portali didattici per la condivisione di lezioni e appunti. Già meno facile prevedere quante ne restino a galla e, soprattutto, generino ricavi in una “economia tra pari” dove non si possiedono oggetti, non si fissano prezzi e la profittabilità può scivolare in secondo piano. «Il problema è quando si creano progetti basati sulla condivisione di competenze e tempo, la cosiddetta gift economy. Funzionano benissimo. Ma ottenere risultati è una cosa diversa» spiega Marta Mainieri, consulente di marketing digitale e coordinatrice della ricerca di Collaboriamo. Le strategie per generare un ritorno? Mainieri ne indica due: commissioni e partnership di co-marketing, cioè la riscossione di una percentuale sugli scambi veicolati e le collaborazioni con aziende esterne.

La strategia delle commissioni
A dettare la via sono soprattutto le commissioni, con un margine di guadagno per bene scambiato che oscilla in teoria «dai 6 euro ai 1000» e, nei fatti, dai 5 ai 50 euro di media. È la strategia sposata dal «social dei lavoretti» Tabbid e Cortilia, l'e-commerce di prodotti agricoli che ha chiuso il 2014 con 2 milioni di transato e previsioni di crescita «a tripla cifra» nei prossimi anni.

Quanto al marketing, Mainieri la classifica come una «particolarità italiana», che dice molto sullo scenario di sfondo: in assenza di investimenti e investitori, gli accordi con marchi di peso diventano la soluzione più immediata per monetizzare. «La startup stringe accordi con grandi marchi e si crea così una fonte di entrate. Forse perché, in Italia, c'è la consapevolezza che non è facile muoversi senza brand più robusti alle spalle» fa notare Mainieri.

Se Fubles muove 2 milioni di euro
Qualche numero? Fubles, il social network per l'organizzazione di partite di calcio a cinque, ha creato una rete di oltre 500mila utenti e quasi 15mila centri sportivi. Il 2015 è stato chiuso con ricavi che si avvicinano a 200mila euro, grazie al doppio canale degli accordi con gli impianti e l'organizzazione di eventi per brand del calibro di Adidas, Kellog's e Jeep. «Ma se consideriamo che facciamo giocare 30mila partite l'anno, e ogni match vale circa 70 euro, significa che generiamo un giro di oltre 2 milioni di euro» sottolinea Giuseppe De Giorgi, Ceo e cofondatore di Fubles. Gnammo, sito di “social eating” per cene in condivisione, ha incassato un totale di 600mila euro in finanziamenti, raddoppiato gli utenti nel giro di un anno e visto i ricavi salire del 550%. Infine i trasporti, il terreno più caldo di tutto quello che gravita intorno alla sharing: il servizio di carpooling per aziende JoJob ha toccato in appena un anno il tetto dei 100mila euro di fatturato e attratto nelle sua orbita clienti come Yoox, Heineken e Auchan.

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